lunedì 23 maggio 2011

La foresta degli scogli

Ciao a tutti.
Ecco a voi il solito bollettino delle nostre disavventure nel Mare di Barents, ammesso che ci troviamo ancora lì, naturalmente. Se vi chiedete perché sono così calmo rispetto al solito la risposta è semplice: non lo so.
Dopo l'avvistamento dello scoglio, qualche giorno fa, abbiamo continuato la navigazione per diverse ore, finché il radar non è impazzito di nuovo. Segnalava decine, se non centinaia di piccole isolette come quelle che abbiamo visitato. Il Comandante Olsen continuava a ripetere che è impossibile, perché non esiste alcun arcipelago tanto vasto in questo mare, o in qualunque altro di cui lui fosse a conoscenza.
Lo spettacolo che ci siamo trovati davanti è, come sempre, arduo da descrivere. Era come uno specchio d'acqua immobile punteggiato di minuscole isole, composte per lo più da roccia vulcanica nera, muschi e licheni.
C'è n'erano ovunque, a perdita d'occhio, distanti poche decine di metri le une dalle altre. Se ne stavano lì, ferme, come denti neri e aguzzi sotto il cielo privo di sole. Un'altra stranezza in un mare di stranezze.
Corremmo tutti sul ponte a guardarle, affascinati ed esterrefatti.
Io era vicino al Comandante e al suo primo ufficiale, perciò sono riuscito a cogliere la loro conversazione. Era in norvegese, ma dal tono di sicuro non era amichevole.
Poi ho capito.
Il mare degli scogli era come un muro insormontabile. L'Arctic 71 è una rompighiaccio, ha uno scafo solido e può aprirsi la strada tra i ghiacci dell'artico con una certa facilità, ma gli scogli e le isolette sono un altro paio di maniche.
Abbiamo trascorso gli ultimi giorni a seguire il muro in una delle due possibili direzioni, sperando di trovare un passaggio abbastanza grande. La nostra costanza è sta premiata esattamente dopo 31 ore di ricerca. Il passaggio è piuttosto largo e profondo, ma ormai lo stiamo seguendo da parecchio. E' come un fiume in mezzo a un mare di rocce, ma ora siamo circondati da esse su entrambi i lati. Se malauguratamente questo passaggio non sbucasse dall'altra parte rimarremmo bloccati, senza possibilità di manovrare la nave.
Credo che il Comandante e il primo ufficiale litigassero proprio su questo, mentre eravamo sul ponte. Devo ammettere che la cosa fa piuttosto paura. Eppure da qualche giorno a questa parte non mi sento più affetto dall'atmosfera tesa e rabbiosa che si è sviluppata a bordo.
L'occhio di Van der Meer è praticamente guarito e io cerco di vedere Ingrid quanto posso. La mia bella biologa è sempre impegnata nei suoi studi, perciò mi trovo fin troppo spesso occupato a prendere appunti e a giocare a scacchi con Keller. Un'occupazione non decisamente entusiasmante, vista l'elevata bravura del mio avversario.
Siamo in mare ormai da quasi un mese per attraversare un tratto che avrebbe richiesto, alla lunga, un giorno e mezzo. Dovrei essere fuori di me per la paura, ma non ci riesco. Ieri Swanson mi ha fatto notare, non con un certo disappunto, che oltre che del sole, il cielo è privo anche di un altra cosa. Vita e velivoli. Non c'era un solo gabbiano appollaiato sugli scogli, né una pulcinella di mare o una foca. Non vediamo scie di aerei dal giorno dell'onda anomala e questo fa ancora più paura.
Ma sono calmo. E la cosa mi preoccupa.
Spero solo di non essere sull'orlo di una crisi di nervi...

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